In Italia oggi i single (il 33,2% della popolazione) superano le famiglie (‘ferme al 31,2%), secondo l’ultima rilevazione Istat, ma solo per un terzo degli italiani essere single è davvero una scelta, contro oltre il 60% che dichiara di essere condizionato da altri fattori, in primis lo stress e l’insicurezza lavorativa, come rivela il 35mo Rapporto Italia di Eurispes. La scelta di essere single “è, in sempre più casi, il risultato di una ricerca spasmodica del ‘partner perfetto’ che si traduce puntualmente in un nulla di fatto, poiché impossibile”. Così Maria Cristina Gori, neurologa e psicoterapeuta, nel nuovo corso di formazione realizzato per Consulcesi dal titolo ‘Anuptafobia: la paura di rimanere soli’, altrimenti conosciuta come sindrome di Bridget Jones.
Come spiega l’esperta, “la crisi economica, i disastri naturali, la pandemia, le guerre e la crisi climatica, stanno mettendo alla prova il nostro equilibrio psichico, alimentando in sempre più persone stati di ansia, depressione”, oltre che a “paure per molti aspetti ancora fortemente sottovalutate come quella della
solitudine, della morte e della malattia. Si tende così – aggiunge Gori – a trovare rifugio e consolazione nella relazione romantica, o meglio nella ricerca spasmodica di questa, finendo col passare da una relazione ad
un’altra senza mai sentirsi realmente ‘interi’, come la storia della ‘mezza mela’ erroneamente ci insegna”.
Se è umano desiderare di trovare un partner con cui realizzare un progetto di vita insieme, la condizione di ‘disaccoppiati’ – si legge in una nota – può diventare una vera e propria paura, al limite dell’ossessione, l’anuptafobia appunto (dal latino ‘anupta’, ossia ‘senza nozze’). Comunemente nota come la sindrome di
Bridget Jones – nome della protagonista di una serie di romanzi – è una paura intensa e irrazionale che colpisce tendenzialmente, più le donne che gli uomini, specialmente fra i 30 e i 40 anni poiché “legata principalmente a quel retaggio culturale secondo cui le donne in questa età dovrebbero trovare marito e
metter su famiglia”. Ma anche, illustra Gori, “abbandoni, tradimenti, rifiuti… possono gravare sul senso di inadeguatezza che conduce all’anuptafobia”.
Nonostante la sua rilevanza clinica, l’anuptafobia – che può causare anche seri problemi di salute mentale, attacchi di panico e depressione -rimane ancora sottodiagnosticata, a volte ‘scambiata’ erroneamente per dipendenza affettiva, altre per ansia, depressione, ossessioni e ruminazioni. “Per questo – sottolinea
l’esperta – è importante formare non solo gli specialisti ma anche medici di medicina generale e gli altri professionisti della salute su campanelli d’allarme e sintomi psichici. Non necessariamente fornire aiuto a chi manifesta sofferenza psichica – prosegue – deve tradursi nell’indirizzare verso lo psicoterapeuta, non
solo almeno e ovviamente dipende dalla gravità. Ma a volte è proprio la solitudine e l’isolamento a causare malessere, e anche semplicemente suggerire attività come la partecipazione a circoli, un nuovo o il completamento di un percorso formativo, da parte dei medici di famiglia potrebbe fare la differenza”.
Il corso di formazione – dettaglia la nota – è fruibile in formato ebook e audiolibro, e prevede il rilascio di 10.5 crediti Ecm con il superamento di un test online. La formazione si focalizza su alcune delle dimensioni chiave di questa patologia: le relazioni, l’amore (pulsione sessuale, sistema dell’attrazione, sistema
dell’attaccamento), l’isolamento (interpersonale, intrapersonale, esistenziale), la solitudine (quella provata durante la pandemia, quella della rete, della religione, della malinconia e della depressione, dell’anziano, della malattia e dei poeti), il disturbo dipendente di personalità (con un focus sui criteri clinici del DSM-5).
All’interno del corso c’è anche una scheda su due strumenti di valutazione normalmente impiegati per la dipendenza affettiva e che possono dare un’indicazione utile anche per l’anuptafobia.