Quasi la metà delle morti causate da trauma grave è evitabile grazie ad un primo soccorso efficace. Chi è addetto al primo soccorso segue linee guida e protocolli che possono massimizzare l’efficacia di un intervento salvavita. Vediamo quali sono i principi e gli scopi del Prehospital Trauma Care
Considerato che la prima causa di morte al di sotto dei 40 anni è il trauma grave (che spesso, se non porta al decesso, è comunque causa di invalidità permanente) e che circa il 40% dei decessi totali è potenzialmente o decisamente prevenibile, la mortalità da trauma può essere enormemente ridotta migliorando la qualità del soccorso preospedaliero. E dunque, in questo contesto, risulta fondamentale
conoscere e saper applicare linee guida e protocolli che possono massimizzare l’efficacia di interventi salvavita. Parliamo dunque dell’importanza della gestione preospedaliera del paziente traumatizzato, o PTC (Prehospital Trauma Care). Vediamo di cosa si tratta.
Prehospital Trauma Care: cos’è e a cosa serve
Il trauma è una ferita o una lesione più o meno estesa prodotta da un’azione violenta esterna all’organismo, e viene valutato sia in termini di gravità che di urgenza. Un trauma può essere grave ma ciò non comporta necessariamente l’urgenza: esistono ad esempio dei traumi molto gravi (come la sospetta
frattura della colonna vertebrale) che non solo possono essere trattate con la dovuta calma ma potrebbero addirittura aggravarsi (in maniera anche irrimediabile) se il soccorso è precipitoso, frettoloso e non adeguatamente coordinato. Ci troviamo invece di fronte ad un trauma urgente quando la vita del soggetto infortunato è in pericolo e le sue funzioni vitali (come respiro, circolazione del sangue, battito cardiaco) sono compromesse e, dunque, è necessario intervenire con tempestività. Scopo del PTC è quello di
applicare i protocolli corretti (nei tempi giusti) e del necessario giudizio per un intervento ottimale che ha il fine di ridurre il più possibile il tasso di mortalità nella prima fase dell’intervento e di limitare i danni secondari causati da manovre e pratiche non corrette.
Chi può esercitare il PTC
“Il PTC è una pratica che può essere esercitata da tutti, anche i soccorritori – spiega il Daniele Manno, Istruttore di Remote e Military Life Support –. Se però parliamo di sanitari, ovvero medici e infermieri, questi potrebbero applicare protocolli anche più invasivi e decisamente più validi”. Manno spiega che la
situazione più comune in cui si può procedere con il PTC “è quella in ambito stradale”, e dunque “successivamente ad un incidente automobilistico o motociclistico”, ma è possibile utilizzarlo anche in ambito domestico: “Se parliamo di bambini sotto i quattro anni abbiamo grandi casistiche di cadute con
trauma cranico, ma anche emorragie massive ma per questo ci sono protocolli più rapidi”. Manno è responsabile scientifico del corso di formazione “PTC, la gestione preospedaliera del paziente traumatizzato” (disponibile sulla piattaforma Consulcesi Club) insieme al dottor Matteo Giacomazzi, istruttore ACLS e BLSD, che spiega: “Il corso si focalizza su quegli interventi atti a ridurre al minimo il danno secondario da trauma. Le modalità corrette con cui intervenire vengono esplicitate attraverso video interattivi, in cui si spiega, ad esempio, come posizionare il collare cervicale, come utilizzare la barella spinale e l’immobilizzatore ragno. Questi presidi sono tutti estremamente utili ai professionisti che svolgono soccorso extraospedaliero, e dunque a tutti quei profili, sia sanitari che tecnici, che prestano servizio al 118”.
Le fasi del PTC
Genericamente, il Prehospital Trauma Care è diviso in 6 fasi: Arrivo e valutazione della scena
Valutazione primaria
Valutazione secondaria
Immobilizzazione/stabilizzazione ottimale
Trasporto/trasferimento migliore
Destinazione dedicata
In caso di evento traumatico, è fondamentale verificare la sicurezza della scena prima di intervenire. È necessario dunque valutare se l’ambiente è sicuro e, in caso non lo fosse, se può essere messo in sicurezza, se la sola vittima può essere messa in sicurezza e se è necessario l’intervento dei Vigili del Fuoco o delle
forze dell’ordine per mettere, appunto, la scena in sicurezza. Questa va poi delimitata e bisogna verificare con costanza che non diventi insicura. Fatto ciò, bisogna ricostruire la dinamica dell’incidente, e dunque:
cosa è successo, come è successo, quantità e tipo di energia coinvolta e numero di vittime. Si passa poi alla fase di triage: bisogna scegliere chi soccorrere per primo (nel caso in cui le vittime siano, per numero, superiori ai soccorritori) ed effettuare la sequenza XABCDE (che vedremo nel dettaglio più avanti) nel minor
tempo possibile. È necessario inoltre avvertire sempre la Centrale Operativa della situazione.
Nell’avvicinarsi alla vittima, chi interviene deve valutare il suo stato di coscienza (anche approssimativo). In queste fasi, ovvero durante la sequenza XABCDE, ogni volta che ci si imbatte in una lesione o una situazione che mette a rischio la vita dell’infortunato (come emorragia massiva, arresto cardiaco o ostruzione delle vie
aeree) è necessario fermarsi e trattarla.
La sequenza XABCDE
Passiamo ora alla sequenza XABCDE, ovvero il procedimento con cui valutare le condizioni fisiche di un paziente traumatizzato.
X – eXsanguination: in caso di grave emorragia esterna, questa deve essere gestita prima ancora delle vie aeree. Nonostante l’ostruzione delle vie aeree sia responsabile della morte in un breve periodo di tempo, nei traumi i sanguinamenti lo sono ancora di più. Controllare torace, addome, pelvi, arti per frattura esposta (ad es. il femore). Trattamento: compressione diretta o bendaggio compressivo, zaffatura, tourniquet. È necessario chiamare la Centrale Operativa in caso di emorragia massiva, amputazioni ed evidenti segni di shock.
A – Airway: si passa poi alla valutazione delle vie aeree, ovvero osservazione del cavo orale ed eventuale asportazione di ostruzioni se facilmente raggiungibile e senza infilare le dita; iperestensione del capo (presente in molti protocolli, in altri non più suggerita) o sublussazione della mandibola; mantenimento
della pervietà (in base alle proprie competenze con i presidi necessari). Per quanto riguarda l’immobilizzazione della rachide cervicale, la testa è stabilizzata solo se tenuta manualmente, nonostante l’applicazione del collare cervicale, fino all’immobilizzazione sulla tavola spinale e con i blocchi fermacapo
assicurati.
B – Breathing/Back: bisogna effettuare una valutazione di respirazione adeguata, e dunque: frequenza respiratoria, ispezione dei movimenti del torace, cianosi, deviazione tracheale e osservazione della muscolatura accessoria. Esporre il torace del paziente, per l’ispezione, la palpazione, l’auscultazione e le percussioni. Controllare la schiena per eventuali sanguinamenti occulti o oggetti impalati.
C – Circulation: è necessario stimare le condizioni generali del sistema circolatorio e dello stato di perfusione della vittima. Lo scopo è valutare un possibile stato di shock per emorragia esterna e/o interna, controllando torace, addome, pelvi, spazio retroperitoneale e cosce. Valutare i segni clinici di
sanguinamento: tempo di riempimento lento del capillare, pelle fredda e appiccicosa, livello e qualità della coscienza. Effettuare, se necessaria, la rianimazione cardio polmonare.
D – Disability: ovvero la valutazione del quadro neurologico. Procedere con analisi del livello di coscienza, la dimensione e la reattività della pupilla. In base al trauma: immobilizzazione della colonna vertebrale e delle fratture maggiori, valutazione della risposta neurologica alle estremità, stabilizzazione delle altre fratture.
E – Environment/Exposure: analisi dell’estensione della lesione e controllo dell’ambiente con prevenzione dell’ipotermia, ipertermia, esposizione ambientale, chimica ecc. Analizzare segni di trauma, sanguinamento, imperfezioni ecc. La parte del corpo che non è esposta può nascondere la ferita più grave che colpisce il paziente.
Consulcesi – Massimo Tortorella