Sono 70 le procedure di infrazione, di cui 18 in tema ambiente, nei confronti dello Stato italiano a marzo 2024, come risulta dal sito del Dipartimento per gli Affari Europei .Italia ai primi posti per numero di infrazioni UE a proprio carico, con maggiori procedure che si trovano nello stadio più avanzato, quindi vicine all’emanazione di sanzioni
A dispetto dei numerosi proclami, il nostro Paese ha infranto e continua a infrangere molteplici norme che riconoscono ai cittadini il diritto a vivere in un ambiente salubre. Lo confermano le serie di procedure di infrazione e le relative sentenze emesse dalla Corte di Giustizia Ue. Secondo una recente indagine, infatti, l’Italia è al sesto posto per numero di infrazioni a proprio carico, sale al primo se si considerano le procedure che si trovano nello stadio più avanzato, cioè quelle più vicine all’emanazione di sanzioni.
Tuttavia, oggi, grazie al crescente riconoscimento dell’importanza dell’ambiente e dei danni alla salute ad esso correlati, come appurato anche dalla giurisprudenza, agire per rivendicare i nostri diritti è sempre più possibile, oltre che necessario. Per avere una visione d’insieme, è importante ripercorrere brevemente iter e strumenti con i quali l’Europa interviene sugli Stati Membri.
Modalità d’intervento dell’UE sugli Stati Membri
La Commissione europea dispone di uno strumento indispensabile per garantire il rispetto e l’effettività del diritto dell’Unione: la procedura di infrazione.
Le procedure d’infrazione sono quei provvedimenti che vengono avviati dalla Commissione UE nei confronti di uno Stato membro quando si sospetta che questo non abbia adeguatamente applicato o rispettato il diritto europeo.
La procedura di infrazione vede diverse fasi. La prima inizia con la lettera di costituzione in mora, attraverso cui la Commissione richiede al Paese interessato ulteriori informazioni. Questo passaggio è noto come “pre-contenzioso”, e lo stato membro deve fornire spiegazioni entro un termine stabilito.
Se la risposta non è soddisfacente o non arriva affatto, la Commissione può inviare un “parere motivato”, chiedendo al Paese di adeguarsi entro una scadenza. Se lo stato membro continua a non adempiere, la Commissione può decidere di avviare una procedura legale presso la Corte di Giustizia UE.
Se questa stabilisce che vi è stata una violazione, può emettere una sentenza che richiede all’autorità nazionale di prendere le misure correttive.
Se nonostante la sentenza il paese non adempie, la Commissione può nuovamente deferirlo alla Corte. In caso di una seconda condanna, la Commissione propone sanzioni pecuniarie, che possono includere una
multa forfettaria e/o pagamenti giornalieri.
Le procedure di infrazione, oltre ad essere avviate da indagini interne della Commissione, possono essere avviate anche in risposta a segnalazioni di cittadini, aziende o organizzazioni non governative.
L’Italia è tra i paesi europei più in difficoltà su questo fronte. Il nostro Paese, infatti, occupa il sesto posto per numero di infrazioni a proprio carico. Sale però al primo se si considerano le procedure che si trovano nello stadio più avanzato. Cioè quelle più vicine all’emanazione di sanzioni.
A marzo 2024 (secondo i dati del Dipartimento per gli Affari Europei), pesavano sull’Italia 70 procedure, la maggior parte delle quali relative al settore ambientale, come riporta anche l’ARPAT (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana).
Rifiuti, acque, ma anche e soprattutto aria sono al centro delle violazioni del diritto perpetrate dal nostro Paese.
Inquinamento dell’aria: l’Italia sotto la lente dell’UE
Nonostante le soglie limite attualmente in vigore siano meno stringenti di quelle che andranno in vigore con la nuova Direttiva UE prevista per il 2030, l’Italia già è stata più volte richiamata e condannata per il mancato rispetto degli obblighi sulla qualità dell’aria. Nello specifico, l’Italia è stata richiamata per aver
superato i limiti di inquinamento atmosferico stabiliti in sede UE dalla direttiva 2008/50 relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa.
Verso il nostro Paese, infatti, si contano attualmente ben quattro procedure di infrazione in materia di inquinamento atmosferico, alcune delle quali hanno portato a sentenze di condanna da parte della Corte di
Giustizia UE.
La prima infrazione è stata aperta a luglio 2014 quando la Commissione UE ha inviato una prima lettera di messa in mora all’Italia per il superamento dei valori di PM10 in diverse aree della penisola, comprese tra 10 Regioni: Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto.
Questa si è risolta con la condanna del 10 novembre 2020, con la quale la Corte di giustizia europea ha accertato che l’Italia ha violato la direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria, registrando valori di PM10 oltre la soglia consentita “in maniera sistematica e continuata”, mancando, altresì, di adottare misure adeguate.
Come affermato dai giudici nella sentenza infatti: “occorre rilevare che la Repubblica italiana non ha manifestamente adottato in tempo utile misure appropriate che consentano di garantire che il periodo di superamento dei valori limite fissati per il PM10 fosse il più breve possibile nelle zone e negli agglomerati
interessati. Pertanto, il superamento dei valori limite giornaliero e annuale fissati per il PM10 è rimasto sistematico e continuato per almeno otto anni in dette zone, nonostante l’obbligo incombente a tale Stato membro di adottare tutte le misure appropriate ed efficaci per conformarsi al requisito secondo cui il
periodo di superamento deve essere il più breve possibile”.
La seconda procedura di infrazione è stata aperta nel 2017, contro l’Italia e altri Paesi, tra cui Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna, per l’eccessivo inquinamento da biossido d’azoto riscontrato nell’aria di città, tra cui Roma, Milano, Torino, Berlino, Londra e Parigi.
La Commissione UE ha, infatti, inviato un “ultimo avvertimento” (parere motivato) nel quale contestava la violazione della direttiva UE del 2008 e chiedeva ai Paesi di spiegare (entro due mesi) come intendevano mettersi in regola, accertando le “ripetute violazioni dei limiti di inquinamento dell’aria per il biossido di azoto (NO2) che costituisce un grave rischio per la salute”. Anche questa procedura si è conclusa con la condanna dell’Italia (2022) ritenuta colpevole di aver superato i limiti previsti per la media annua.
“La Corte di Giustizia Ue, infatti, ha dichiarato l’inadempimento (infrazione) dell’Italia sia per il superamento “sistematico e continuativo” della soglia limite annuale fissata per il biossido di azoto, sia per la mancata adozione (dall’11 giugno 2011) di misure adeguate a garantire il rispetto dei valori limite nelle zone
interessate.
A queste si aggiunge nel 2020 una nuova procedura di infrazione avviata per il superamento dei limiti di PM2.5, in diverse città della valle del Po, tra cui Venezia, Padova e alcune zone del milanese. Fin dal 2015,
infatti, il valore limite per il PM2.5 non è stato rispettato, e ancora una volta le misure previste dall’Italia “non sono sufficienti a mantenere il periodo di superamento il più breve possibile”.
L’ultima procedura, a marzo di quest’anno, vede una lettera di costituzione in mora per la mancata esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE del 2020 sulla qualità dell’aria. “Sebbene dalla data della sentenza l’Italia abbia adottato alcune misure, nel 2022 si registravano ancora superamenti dei
valori limite giornalieri in 24 zone di qualità dell’aria, mentre una zona segnalava superamenti dei valori limite annuali”, si legge nel documento.
Ora l’Italia dovrà fornire informazioni e rimediare alle carenze segnalate dalla Commissione che, in assenza di una risposta soddisfacente, potrà decidere di deferire il Paese alla Corte UE, richiedendo potenzialmente sanzioni pecuniarie.
Il diritto a vivere in un ambiente salubre
Accanto al riconoscimento a vivere in un ambiente salubre confermato dalle relative sentenze ambientali della Corte di Giustizia UE, sia a livello nazionale che sovranazionale, la giurisprudenza sta riconoscendo e quindi normando sempre più i diritti dell’ambiente e del danno alla salute correlato alla negazione di questi.
A livello nazionale, anche se manca una normativa specificatamente dedicata all’aria pulita, sono numerose le pronunce della giurisprudenza che hanno riconosciuto che vivere in un ambiente malsano comporta un serio pericolo di contrarre in futuro delle malattie. Di conseguenza è stato sancito il diritto a respirare aria pulita, con la conseguente possibilità di agire in giudizio per tutti coloro che vivono in aree inquinate.
È dell’8 febbraio 2022 la riforma della Costituzione che introduce i diritti dell’ambiente, “non come habitat umano ma come bene autonomo” e che investe, tra le tante, anche l’iniziativa economica privata, d’ora in avanti sottoposta al vincolo di non creare danno alla salute e all’ecosistema.
La riforma costituzionale che ha introdotto i diritti dell’ambiente ha rivoluzionato due pilastri fondamentali della nostra Costituzione: gli articoli 9 e 41. Per quanto riguarda l’articolo 9, precedentemente mirato alla tutela del nostro patrimonio paesaggistico e storico-artistico, la riforma ha esteso la sua sfera di competenza. Ora, questo articolo agisce come una sorta di guardiano dell’intero ecosistema naturale, con un impegno esplicito verso la protezione dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali.
In relazione all’articolo 41, che si occupa dell’economia, la riforma ha ribadito un concetto fondamentale: l’economia non può essere disgiunta dalla tutela della salute e dell’ambiente. Questo articolo sancisce che l’economia deve ora operare all’interno di un quadro che consideri la sicurezza, la libertà, la dignità umana,
la salute e l’ambiente come obiettivi primari. Le istituzioni hanno, inoltre, ottenuto il potere di indirizzare l’iniziativa economica, sia pubblica che privata, verso finalità che promuovano il benessere sociale e rispettino l’ambiente.
A livello internazionale, come scrive il Consiglio d’Europa (Coe), “sebbene non esista un diritto specifico a un ambiente salubre nella Convenzione europea per i diritti dell’uomo, questa è sempre più utilizzata da singoli individui e gruppi di attivisti per fare progressi su una vasta gamma di questioni ambientali”.
Come racconta ancora il Coe, infatti, in diversi casi le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo hanno contribuito “a far evolvere le politiche e le pratiche nazionali sull’ambiente, a vantaggio delle persone direttamente coinvolte e della società nel suo complesso”.
Ne è un esempio il recente caso del gruppo di 2.500 attiviste svizzere che hanno portato il Paese elvetico davanti la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) accusandolo di non aver fatto, e di non stare facendo, abbastanza per contrastare il cambiamento climatico.
In particolare, il 9 aprile 2024, la CEDU ha stabilito che la Svizzera è stata incapace di raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra fissati in passato e quindi di adottare misure sufficienti volte a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici, violando alcuni dei diritti umani fondamentali.
In particolare, la Corte di Strasburgo riconosce che la Svizzera ha violato l’articolo 8 della Convenzione europea e il diritto per gli individui alla protezione da parte delle autorità dello Stato contro gli effetti gravi del cambiamento climatico sulla loro vita, sulla salute, sul benessere e sulla qualità della vita.
Una pronuncia da molti già definita “storica” perché per la prima volta la Corte europea riconosce esplicitamente il legame tra la protezione dei diritti umani e l’adempimento degli obblighi verso il cambiamento climatico, rafforzando la responsabilità dei governi di dover considerare e quindi rafforzare l’impegno verso la crisi climatica ed ambientale, al fine di poter garantire i diritti fondamentali.
In seguito a questa sentenza, la Svizzera è stata obbligata a versare 80mila euro all’associazione ricorrente per le spese e le commissioni sostenute (mentre non è stato previsto alcun risarcimento, poiché non ne è stata avanzata richiesta).
Questi progressi della giurisprudenza rappresentano un passo significativo verso una maggiore consapevolezza ambientale e un’impostazione più sostenibile dell’attività economica, in linea con l’urgente necessità che continua ad emergere dalla ricerca scientifica di proteggere il nostro ambiente per garantire il
benessere delle generazioni attuali e future.
La scienza, infatti, sempre di più conferma la correlazione tra gli elevati livelli di inquinamento atmosferico che continuano a registrarsi in Italia e in Europa e le morti premature, i problemi cardiocircolatori, l’aumento di demenze e casi di autismo, solo per citarne alcune.
La forza dell’azione collettiva
Di fronte ai dati sempre più allarmanti, ad uno Stato italiano che si conferma inadempiente rispetto alla salvaguardia della qualità dell’aria, e alla solida convinzione secondo cui non dobbiamo, non possiamo, aspettare di ammalarci prima di proteggere l’ambiente e ridurre significativamente l’inquinamento
atmosferico, Consulcesi ha deciso di lanciare l’azione collettiva “Aria Pulita”.
Spesso si fa confusione tra l’azione collettiva e la class action, ma vale la pena ricordare che sono due strumenti di tutela molto differenti. La class action, da anni diffusa negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è un’istituzione relativamente giovane nel nostro Paese. La modalità fortemente limitata, che prevede ad
esempio l’iscrizione a determinati elenchi e la presenza di determinate condizioni, di fatto ne ostacola la reale diffusione nel nostro Paese. Più diffusa è l’azione collettiva, che a è un insieme di parti che riceveranno poi il loro risarcimento singolo. A differenza della class action, un’azione legale collettiva ha
una serie prerogative che vanno dalla ripartizione delle spese legali, ma con un risarcimento trattato su base individuale, ad una maggiore pressione sulle istituzioni chiamate ad agire.
L’azione collettiva può rivelarsi uno strumento utile verso il riconoscimento del diritto a respirare aria sana e quindi di conseguenza ad un risarcimento per aver respirato aria insalubre e potenzialmente nociva, come attestato dalla Corte di Giustizia UE.
L’azione collettiva Aria Pulita
In totale sono all’incirca 40 milioni i cittadini costretti a respirare aria malsana e potenzialmente dannosa per la salute e che, per questo, possono richiedere un risarcimento allo Stato e alle Regioni, aderendo all’azione collettiva Aria Pulita di Consulcesi.
Partecipando all’iniziativa si avrà quindi, non solo, la possibilità di ottenere un risarcimento equo per la violazione del diritto a vivere in un ambiente salubre, ma anche di prendere in mano la salute propria e quella dei propri cari.
Per aderire basta dimostrare, attraverso un certificato storico di residenza, di aver risieduto tra il 2008 e il 2018 in uno o più dei territori coinvolti. Per scoprire se e come partecipare all’azione legale, Consulcesi mette a disposizione il sito di Aria Pulita: www.aria-pulita.it.